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In Italia si è giovani più a lungo? Il confronto con la Ue

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Le discussioni di questi giorni sulla fascia di età che godrà dei nuovi incentivi per l'assunzione dei giovani fanno emergere un dato interessante: in Italia si è giovani più a lungo che nel resto dell'Unione Europea. Ma non si tratta di una particolarità dovuta al codice genetico o ai benefici effetti della dieta mediterranea, purtroppo no. E' una mera questione culturale, sociale ed economica, che i nostri governi da tempo cercano di tradurre in norme giuridiche ritagliate per il nostro Paese. Ci sono già riusciti con successo per la Garanzia Giovani: il programma era diretto in quasi tutti i Paesi europei ai giovani fino ai 24 anni, ma l'Italia ha ottenuto di potervi inserire i giovani fino ai 29, per le "particolarità" del nostro mercato del lavoro.

Adesso, con i nuovi incentivi, si stava tentando di andare ben oltre: l'ipotesi era quella di garantire sgravi fiscali al 50% per i primi tre anni per tutti i contratti a tempo indeterminato stipulati a favore degli under 35. Poi nei mesi estivi l'ipotesi si è un po' ridimensionata, più che altro per ragioni di budget, e si è passati a considerare invece i giovani fino ai 32 anni di età. Ieri il consigliere di Palazzo Chigi Marco Leonardi ha spiegato alle principali agenzie di stampa che "le imprese potranno usufruire dei nuovi sgravi per i neoassunti under 29: fissare l'asticella a 29 anni è una scelta preferibile per rispettare le norme europee che chiedono di non discriminare per età". Oggi il ministro del Lavoro Giuliano Poletti lo ha confermato al Meeting di Rimini.

E quindi bisogna farsene una ragione: anche in Italia, non si può essere giovani oltre i 29 anni. Dai 30 bisognerà diventare adulti, come nel resto dell'Europa. Certo, le statistiche Istat dicono che la percentuale di occupati non fino ai 35, ma anche fino ai 39 anni, è di gran lunga inferiore a quella delle fasce di età più anziane. Nella fascia 25-34 anni il tasso di disoccupazione è al 18,2% contro il 7,9% della fascia 45-54. Per cui il tentativo del governo non era certo immotivato. La questione è però se il problema debba essere risolto con gli incentivi per l'occupazione.

Gli ultimi incentivi sono stati poco efficaci: hanno funzionato solo per il tempo in cui sono stati applicati, semmai anche con una distorsione nei tempi per le assunzioni (e per i licenziamenti!). E quindi adesso si dice che gli incentivi per funzionare debbano essere strutturali, anzi si ipotizza un taglio perenne del cuneo fiscale nella misura del 3-4% a favore dei giovani assunti con la decontribuzione del 50%. Sicuramente questa misura sarebbe più efficace, ma ancora più distorsiva, perché introdurrebbe delle discriminazioni permanenti nel mercato del lavoro. I disoccupati cinquantenni perderebbero ogni possibilità di essere ricollocati: costerebbero molto di più.

La sensazione è che si abbia a che fare con una coperta cortissima, e la ragione per cui è corta è un tasso di disoccupazione che è ancora al di sopra dell'11%, nonostante i miglioramenti del mercato del lavoro. Più che gli incentivi, servono i posti di lavoro. E' il ragionamento che molti sindacati stanno facendo in questi giorni sulle "politiche attive": non decollano, si dice. Ma perché decollino servono i posti di lavoro, al di là dell'efficacia dei progetti e della buona volontà e dell'efficienza di chi li mette in atto.


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